Statuto

Premesse giuridiche

La chiarezza del dettato di cui all’art.11 della Costituzione è irrefutabile: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo per la risoluzione delle controversie internazionali”
Orbene, l’attitudine del Paese alla pace viene qui affermata in termini apodittici e senza alcuna ambiguità discorsiva, né interpretativa.  Da notare del resto che i padri costituenti avrebbero tranquillamente potuto limitarsi nella redazione dell’art.11 a prevedere la “pace e la solidarietà nell’ordinamento internazionale” come obiettivo fondamentale da perseguire da parte della Repubblica. Ma sono andati oltre, invece, e hanno voluto esplicitare il compito supremo di favorire la pace nell’ordinamento internazionale prevedendo espressamente come primario dovere il “ripudio della guerra”. Purtroppo il successivo disposto dell’articolo sembra contraddire tale fondamentale principio là ove si afferma che “ (L’Italia)… consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia  fra le Nazioni”. Orbene, la previsione in questa seconda sezione dell’articolo di limitazioni alla propria sovranità, pur se necessarie ad un ordinamento votato alla pace, non sembrerebbe soddisfare a pieno l’imperativo di ripudiare la guerra in quanto qui si ammetterebbe la limitazione della sovranità in favore di  organizzazioni internazionali solo subordinandola al soddisfacimento di un’unica condizione: la parità con altri Stati
Un concetto quello della parità che qui risulta privo di specifiche connotazioni, e soprattutto di contenuti che ne individuino l’ambito epistemico ai fini della corretta applicazione della norma. Parlare di parità “tout court” è, infatti, un riferimento eccessivamente generico non potendosi ricondurre il suo contenuto a interessi specifici propri dell’Italia che così si esaurirebbero nella mera constatazione della uniformità e identità delle norme derivanti da organizzazioni internazionali e trattati di alleanze, per tutti gli Stati.  In altre parole si ammetterebbe il principio secondo cui “quello che sta bene agli altri deve necessariamente star bene a noi stessi”. 
 Per contro, ai fini di una esaustiva attuazione del disposto costituzionale la parità andrebbe considerata con riferimento ai primari interessi che l’Italia dovrebbe tutelare e proteggere nell’aderire alle organizzazioni internazionali, e in questa prospettiva diverrebbe fondamentale un meccanismo previsionale che garantisse come la limitazione della sovranità non possa risultare di pregiudizio a tutto quel complesso di diritti, doveri e principi che vengono contemplati, tutelati e protetti dalla stessa Costituzione. Così la limitazione di sovranità implicata dalla partecipazione a organizzazioni internazionali e/o alleanze verrebbe ammessa non tanto in virtù di una generica parità, bensì a condizione che essa non arrechi pregiudizio a nessuno dei diritti, doveri e principi contenuti nella Costituzione. 
Tanto premesso, appare chiaro come al fine di dare un concreto ed effettivo seguito alla previsione dell’art. 11 in tema di ripudio della guerra sia consequenziale l’introduzione – a parziale modifica migliorativa del testo costituzionale – del principio di NEUTRALITA’; non solo, ma al fine di evitare che l’adesione a organizzazioni o istituzioni internazionali possa implicare l’accettazione di condotte o il recepimento di atti dell’ente suscettibili di violare i principi e/o i diritti garantiti dalla Costituzione medesima, dovrà essere previsto anche l’inserimento nel testo dell’art.11 di una clausola di salvaguardia, ovvero la garanzia che eventuali limitazioni di sovranità derivanti dalla partecipazione a organizzazioni internazionali saranno ammissibili solo e unicamente qualora condotte o atti dell’ente internazionale non violino in alcun modo, né pregiudichino nessuno dei diritti e dei valori tutelati dalla stessa Costituzione. 
E’, infatti, irragionevole, sotto il profilo logico oltre che funzionale, come una limitazione di sovranità comportante compressione di un diritto costituzionalmente protetto possa essere ritenuta ammissibile sulla base della semplice osservanza di una generica “parità di condizioni con gli altri Stati”, ben potendosi ipotizzare come la molteplicità e diversità dei fini  perseguiti dai vari membri di una organizzazione internazionale non implichi necessariamente una paritaria conformità degli interessi derivanti dalla loro partecipazione.

Piano d’azione

Al fine di poter procedere alla modifica della Costituzione per introdurvi il principio di NEUTRALITA’, è possibile ricorrere ad una iniziativa legislativa popolare nell’ambito delle previsioni di cui all’art. 71 della stessa Costituzione: “Il popolo esercita l’iniziativa legislativa mediante proposta da parte di almeno 50.000 elettori di un progetto redatto in articoli”. 
Tale progetto, una volta sottoscritto dagli elettori secondo i termini e le condizioni della Legge 25 maggio 1970 n. 352, viene presentato alla Presidenza di una delle due Camere per il successivo iter parlamentare. Non esiste obbligo per legge che da parte del Parlamento si proceda all’esame della proposta popolare – anche se viene registrata e messa in agenda –  ma l’Art. 74 del Regolamento del Senato impone alle competenti Commissioni l’avvio dell’esame entro e non oltre 1 mese dal deferimento. Mentre gli artt. 24 e 107 del Regolamento della Camera impegnano l’organo parlamentare a far riservare una parte del tempo all’interno del calendario dei lavori. 
Sul piano generale è, quindi, da osservare che in ogni caso, e indipendentemente dalla volontà del Parlamento di condurre a conclusione la discussione su un tale progetto di legge, questo offrirebbe l’occasione per un dibattito nazionale di grande impatto politico ed emotivo a livello territoriale, risultando la tematica della neutralità fondamentale non solo per dare concreto e coerente seguito al dettato costituzionale sul ripudio della guerra, ma anche per tradurre in termini fattuali e concreti proprio quella sovranità di cui parla l’Art.1 della Costituzione intesa nella sua manifestazione più tangibile, ovvero quella della INDIPENDENZA.  
  Da precisare, infine, che mai come ora, nel contesto di una situazione geopolitica fortemente destabilizzata e caratterizzata da guerre e continue crisi, la prospettiva di una neutralità per il nostro Paese acquisterebbe una importanza di assoluto primario rilievo presentandosi come unica alternativa ad una politica intesa a favorire la militarizzazione. 
Non ci può essere, infatti, libertà di scelte in politica estera con oltre 120 basi militari distribuite su tutto il territorio nazionale e partecipando ad una alleanza militare come la NATO il cui fine dichiarato della difesa è stato in questi ultimi decenni travisato e violato al punto da coinvolgere l’Italia in guerre offensive, condotte cioè in disprezzo del suo principio costituzionale del “ripudio della guerra”! 
Solo con una NEUTRALITA’ PERMANENTE E COSTITUZIONALMENTE GARANTITA potremo liberarci dai condizionamenti imposti dalle alleanze militari e rendere l’Italia veramente libera e sovrana per volontà del suo popolo espressa democraticamente attraverso l’esercizio di un diritto contemplato dalla stessa Carta Costituzionale!

Procedura

L’iniziativa legislativa popolare, quale strumento di democrazia diretta come contemplato dall’Art. 71 della Costituzione troverebbe attuazione attraverso la seguente procedura:
Redazione da parte di cittadini volenterosi di un progetto di legge formalizzato in articoli;
Sottoscrizione della proposta da parte di almeno 50.000 elettori. Operazione da completarsi entro 6 mesi dal suo avvio ufficiale;
Redazione di una relazione esplicativa di accompagnamento al progetto di legge;
Presentazione del progetto legislativo alla scadenza del termine di 6 mesi da parte di almeno 12 sottoscrittori con sua consegna al Presidente di uno dei due rami del Parlamento.
Per la sottoscrizione del progetto, l’autenticazione della firma e i certificati di accompagnamento valgono le medesime condizioni come previsto per la procedura referendaria a termini della Legge 352/70.
Nota: tra il 1970 e il 2014 sono state approvate il 43% delle proposte di legge di iniziativa popolare.

Osservazioni sul piano del Diritto Internazionale

Ma è sul piano delle relazioni internazionali che la proposta di adottare uno status di neutralità permanente verrebbe ad assumere per l’Italia un rilievo ed un significato di altissimo valore non solo politico, ma anche etico e storico. 
Tuttavia, per comprendere l’effettivo portato del principio di neutralità e i suoi effetti nelle relazioni con gli altri Paesi sarà indispensabile affrontare il discorso con riferimento allo stato delle relazioni internazionali all’epoca attuale.  
La Comunità internazionale, ovvero l’insieme degli Stati intesi quali suoi soggetti originari, si fonda oggi prevalentemente su 2 elementi:
I rapporti di forza 
La competizione 
I rapporti di forza sono un modo di esprimersi degli Stati i quali tendono a porsi gli uni verso gli altri secondo livelli di forza o di influenza che usano per stabilire le migliori e più convenienti condizioni di sicurezza. Si parla in questi casi di equilibri o di assetti che vengono riferiti alle diverse posizioni dei Paesi.
La competizione è invece il mezzo attraverso il quale gli Stati vanno alla ricerca delle risorse per raggiungere livelli economici rispondenti alle loro necessità.  In entrambi i casi, qualora insorgano pretese contrastanti, si parla di tensioni nei rapporti. Tensioni che possono svilupparsi in una crisi, e dalla crisi evolvere in controversia e da questa in un vero e proprio conflitto con pretese opposte e inconciliabili. 
          Nel primo caso il rimedio sarebbe sostituire il criterio dei rapporti di forza con il criterio della COESISTENZA PACIFICA (SOLIDARIETA’ E SICUREZZA COMUNE E CONDIVISA); nel secondo caso si dovrebbe sostituire la competizione con la COOPERAZIONE. Unica garanzia che possa consentire il raggiungimento di queste due finalità senza incorrere nel rischio di un conflitto è per l’appunto la NEUTRALITA’.
L’appartenenza, infatti, ad una alleanza, o comunque ad uno schieramento militare, è una condizione che di per sé, per sua propria natura intrinseca, si oppone alla realizzazione dei due auspicati obiettivi, e ciò a causa della tentazione a preferire la via più immediata del ricorso all’uso della forza, anziché procedere a trattative e negoziati  dai tempi non prevedibili e spesso dagli esiti incerti.                                                         
La neutralità è un istituto di Diritto Internazionale indicativo di quella situazione/condizione in cui uno Stato non aderisce a nessuna alleanza né schieramento a carattere militare rigettando per principio l’idea della guerra.  Esso risale di fatto al momento storico in cui si sono affermati gli Stati nazionali ( da Westfalia in poi – 1648), ma ha trovato una sistemazione giuridica nel Diritto internazionale con le Convenzioni dell’Aja del 1907 (IV e XV Convenzione), e successivamente con la Società delle Nazioni e, infine  con l’Organizzazione delle Nazioni Unite. 
La neutralità si distingue in due tipologie: neutralità occasionale e permanente. Quella occasionale si ha nell’ipotesi di un conflitto a fronte del quale uno Stato dichiara di volersi ritenere estraneo, e tale neutralità è circoscritta a tale sola circostanza.  Una siffatta scelta – è da osservare – benché sempre praticabile al di fuori di eventuali obblighi di partecipazione bellica derivanti dall’aver stipulato Trattati di reciproco sostegno militare in caso di aggressione, implicherebbe comunque difficoltà di tipo negoziale nei confronti di Paesi amici aggrediti; e ciò sul piano dei rapporti di solidarietà eventualmente intrattenuti. L’altra opzione, invece, quella della neutralità permanente, derivando da un atto autonomo  dello Stato previamente assunto, e quindi noto per la sua validità universale, verrebbe opposto a terzi Stati come un principio di politica estera identificabile in una posizione di non partecipazione né a conflitti, né ad alleanze militari valido verso tutta la Comunità internazionale, in via continuativa e permanente. 
Generalmente tale forma di neutralità trova fondamento in un atto costituzionale (costituzionalmente garantita) e ha valenza universalistica. 
La neutralità si distingue poi dalla neutralizzazione o neutralità passiva in quanto quest’ultima è un istituto che generalmente si rivolge non tanto a Stati, ma a singoli territori o singole entità geografiche per le quali lo status di neutralizzato implica la non assoggettabilità della zona a qualsiasi forma di militarizzazione. Tale condizione, per essere effettiva, deve essere riconosciuta dagli Stati interessati e garantita da terzi Stati, e ciò si attua in virtù di un accordo o trattato internazionale. 
Anche la neutralità quale atto autonomo di uno Stato può essere riconosciuta da terzi Stati, ma il loro riconoscimento non è costitutivo della condizione, in quanto lo status di neutrale trova nell’atto costituzionale di previsione la sua legittimità. Tuttavia, ciò non esclude che uno Stato dichiaratosi neutrale possa avere interesse a stipulare trattati con terzi Stati per ottenere una maggiore garanzia al suo riconoscimento.

La neutralità per l’Italia

La Costituzione italiana non prevede la neutralità dello Stato, ma il ripudio della guerra.  Una disposizione questa che non garantisce a pieno la sicurezza, né soprattutto l’indipendenza del Paese.  Per contro, nulla dispone la Costituzione che possa pregiudicare il diritto alla difesa nazionale. Si ripudia la guerra come offesa, ma non per la propria difesa in caso di aggressione. Tuttavia, questa previsione non è sufficiente a garantire il corretto uso della guerra (difensiva).  Oggi nella complessità delle dinamiche internazionali è estremamente arduo distinguere una situazione di aggressione militare da una di reazione difensiva o di rappresaglia.  Ovvero è sempre più difficile tenere separato il caso dell’aggressione da quello della propria difesa (v. circa l’ambiguità dei concetti la c.d. guerra preventiva, o la azione bellica quale reazione alla provocazione dell’avversario per via di atti non necessariamente militari). Oggi, del resto, lo sviluppo delle tecnologie, porta a configurare certe attività non militari ugualmente letali e minacciose per l’integrità e la sicurezza di un altro Stato. 
Per dare allora concreto seguito al principio del ripudio della guerra, sgombrando il campo da insidiose interpretazioni del mezzo bellico, può farsi ricorso all’adozione dell’istituto della NEUTRALITA’ permanente costituzionalmente garantita. Una condizione che per l’Italia garantirebbe:
L’effettività del ripudio della guerra intesa sotto qualunque forma;
Una tangibile e concreta condizione di indipendenza rispetto a potenze straniere e schieramenti militari. 
Farebbero da corollario alla neutralità, infine, le seguenti condizioni essenziali:
Dovere di non aderire a nessuna intesa militare;
Dovere di non consentire l’istituzione sul proprio territorio di basi militari straniere, né di svolgervi attività propedeutiche alla guerra contro terzi Stati;
Obbligo, inteso come dovere giuridicamente previsto dal Diritto Internazionale, a carico di terzi Stati di rispettare lo status di neutralità e di astenersi dal compiere atti o condurre operazioni che possano pregiudicare tale status oltre i ragionevoli limiti normalmente tollerabili in caso di guerra.

Neutralità e Unione Europea

L’impegno costituzionale alla neutralità non ha mai ostacolato per i Paesi che l’hanno adottata la partecipazione alle dinamiche della vita di relazione internazionale. Né per via della sua evoluzione, tale istituto ha mai subito una erosione nei suoi contenuti, anche se a fronte della complessità del mondo moderno è divenuto difficile sottrarsi alle sollecitazioni esterne. 
Legittimo, ciò non di meno, sarebbe domandarsi come si porrebbe lo status di neutralità con riferimento alla partecipazione dell’Italia all’Unione Europea. 
Si parla in questo caso di “neutralità differenziata”. E la fattispecie che viene in causa è la partecipazione alla Politica estera e di sicurezza europea e alla Politica di sicurezza e di difesa comune.
 La domanda da porsi è: sarebbe compatibile lo status di neutralita’ per l’Italia con gli obblighi derivanti dalla sua partecipazione all’Unione Europea? 
Cronologicamente e concettualmente si afferma nei Trattati europei la Politica estera e di sicurezza comune in prima fase, poi, come successiva sua evoluzione, in progressione, quella di Sicurezza e Difesa comune. In proposito è da citare l’art. 2  del TFUE  che recita come segue: “L’Unione ha competenza  per attuare una politica estera e di sicurezza  comune  comprendendo in essa in progressione anche quella di DIFESA COMUNE“.  Più specificamente, poi, tale politica si conferma all’art. 24 del TUE là ove si afferma che: ”Gli Stati membri sostengono attivamente e senza riserve la politica estera  e di sicurezza  con spirito leale e collaborativo”.
All’art. 29 del TUE  si prevede che in tale settore sia il Consiglio dell’UE  a deliberare tramite non atti legislativi, ma con DECISIONI secondo le previsioni del Trattato, e che gli Stati membri provvedono affinché la loro politica nazionale si conformi ad esse. L’art. 32 del TUE prevede altresì che siano gli Stati membri in caso di scelte in politica estera a consultarsi in ambito UE. 
Aspetto più delicato, per contro, è quello di cui si parla all’art. 42. 7  del TUE  nel caso sia uno Stato membro oggetto di aggressione militare. E in questo caso la norma contenuta nel medesimo articolo prevede un OBBLIGO di ASSISTENZA MILITARE.  Al riguardo c’è una parte della dottrina che non vede incompatibilità con la neutralità trattandosi di difesa da aggressione, ma a sgombrare dubbi sull’obbligo di fornire assistenza militare soccorre l’art. 31 del TUE  che, nell’escludere l’adozione di atti legislativi,  prevede solo la decisione del Consiglio all’unanimità (salvo clausola “passerella” che fa decidere se adottare maggioranza qualificata, ma ad esclusione in ogni caso della PSDC) e la ASTENSIONE  COSTRUTTIVA da parte di uno Stato membro con particolari esigenze in tema di politica estera e militare. L’articolo medesimo prevede che la PSDC lasci impregiudicate le particolari connotazioni di singoli membri in tema di difesa (neutralità)  e cita espressamente l’Austria, Malta e la dichiarazione della Danimarca  che non partecipa a elaborazione né a attuazione di azioni UE in settore della DIFESA ( dichiarazione recentemente ritirata).
I Trattati UE prevedono, comunque, già delle strutture e meccanismi di difesa quali : il Comitato di Sicurezza e Difesa, il Comitato Militare, lo Stato Maggiore UE e l’Agenzia Europea per la Difesa con  meccanismo di raccordo con la NATO e da ultimo l’EDIP ( European  Defence Improvement Program) quale strumento per il sostegno alla produzione di armamenti. Si prevede altresì su base volontaria dei membri una forma di COOPERAZIONE STRUTTURATA PERMANENTE. 
L’ART. 43 del TUE prevede le missioni civili e militari  ( missioni Petersberg)  passando da quelle sul disarmo e umanitarie, per giungere via via a quelle a carattere di crescente ingaggio militare. 
In conclusione, il divieto di ricorrere alla forza armata è anche contemplato dallo Statuto dell’ONU all’art. 2, mentre all’art. 103 della Carta ONU si dispone la prevalenza delle Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza su ogni altro impegno convenzionale per i Paesi interessati. 
La neutralità, dunque, è uno status che può essere adottato da qualunque Paese che ripudia la guerra e che auspica una diversa impostazione delle relazioni tra Stati nella società internazionale. Relazioni finora basate, come visto, su RAPPORTI DI FORZA  invece di fondarsi  prioritariamente su quello della COESISTENZA PACIFICA, della COOPERAZIONE e della UGUAGLIANZA SOVRANA degli Stati.